Per Giancarlo Lezzi

don Davide Larice

     Siamo in tanti, Giancarlo, a testimoniarti nella Fede del Signore Risorto i segni innumerevoli di affetto, di gratitudine, di stima, e manifestare, seppur nel dolore dell'umana separazione e distacco, la soddisfazione di aver potuto percorrere assieme un tratto di strada nell'avventura di questa vita terrena.
      È stata per tutti un'esperienza arricchente sul piano umano e spirituale quel tuo vigilare e badare con amore a qualcuno, facendoti presidio di valori importanti come la fedeltà, l'amicizia, la sincerità, il rigore, la responsabilità, la coerenza, che sono delicati e fragili.
      Questa tua capacità di prenderti il tempo necessario per aver cura della qualità, non puramente clinica della vita, ti ha reso perspicace, acuto nell'intuire la direzione degli eventi, nel fronteggiare le emergenze, nel "tentare di riscatta - come dice il Card. Martini - nel lento fluire del tempo, il desiderio del fratello e della sorella di recuperare la propria dignità e restituirlo alla propria libertà".
      Per noi tutti, caro Giancarlo, credenti e non, la celebrazione di questo evento che chiude le dimensioni di spazio e tempo e conduce questa vicenda visibile della tua esistenza negli orizzonti dell’infinito, collocandoti accanto all’Eterno, in compagnia del Signore Risorto, abbatte tutti i limiti, le fragilità, gli errori possibili, i dubbi e le incertezze che costituiscono i percorsi visibili, iscritti, di fatto, nella vicenda storica di ognuno e, quindi, anche di te.
      Senza sminuire il dolore, il dramma di un'esperienza traumatica, la fede nella risurrezione ci aiuta a valorizzare e amare il tempo presente, la terra, la solitudine e persino la croce, e pur vissuta, questa Fede, nella terra di confine tra il precario e l’Assoluto, il provvisorio e I'Eterno, il dissolvimento e la Resurrezione, abbiamo la prima e certa consapevolezza che non si è incrinato, ne spezzato il filo misterioso della comunicazione con chi ha avuto la sorte di essere tratto fuori dalla prigione del tempo.
      Percorrendo, in questi anni, soprattutto in questi mesi, sentieri di purificazione, accompagnato e sostenuto amorevolmente dalla moglie Bianca, assistito ed incoraggiato dalla costante premura di tanti colleghi e collaboratori, confortato da tanti amici, Cl insegni che il Regno di Dio si raggiunge attraverso percorsi inediti, indesiderati, per lo più imprevisti, spesso sconosciuti, sempre faticosi. Eppure, assaporando l’erba amara della sofferenza, fino all'umiliazione della resa, non sei riuscito a nascondere, a trattenere sul tuo volto scarno la serenità di chi - come scrive San Paolo - "Ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la corsa, ha conservato la Fede (2 Timoteo 4, 6-7), ed hai trasmesso il testimone del tuo impegno a quanti credono ed operano nei segni delle Beatitudini.
      L'altra sera, quando ti ho affannosamente raggiunto in ospedale, dopo aver purificato con l'olio degli infermi il tuo pellegrinaggio terreno, mi è parso di raccogliere nella compostezza della tua persona l'autorevolezza di un patriarca biblico che conclude la sua missione con le parole stupende di padre Turoldo che formano preghiera e premuroso invito: "Sta, o Signore. per sorgere il Nuovo Giorno? Tutti e due allora usciamo insieme dalla notte".

      Mandi, Giancarlo, e ariviodisi in Paradîs.




Renzo Buttolo

     Caro Gian,
      è giunto il tempo del commiato e il momento si accompagna a sentimenti di profonda mestizia per tutti noi.
      Insieme a Banca, hai concesso a me, a Paola (in particolare), a Floriana e a Paolo il privilegio - ahimè gravoso - di darti una mano nell'ultimo tratto della salita. Abbiamo cercato di fare del nostro meglio, facilitati soprattutto dal tuo coraggioso contegno di fronte al penoso andar delle cose; per tutto quanto potremmo aver omesso chiediamo umilmente il tuo benevolo compatimento.
      Mai come in questa circostanza siamo stati testimoni - ammesso che ce ne fosse bisogno - delle ansie, del calore e della riconoscenza di tante persone amiche alle quali hai cercato, anche in fin di voce,. di dare risposte e rassicurazioni sul tuo stato. Penso - tanto per dire - al recente e fugace incontro con la collega di Rovigo, a te e a noi sconosciuta, casualmente presente nella corsia dell’ospedale; con lei - pur nel tuo patimento - hai saputo condividere un attento e sorridente sguardo che l’ha portata a un significativo gesto spontaneo di commossa solidarietà. Potenza di una personalità che del resto hai mantenuto intatta sino all'ultimo istante quando hai deciso di darci il tuo addio!
      Te ne sei andato ma resti tra noi! Abbiamo avuto il tempo - magari ce ne fosse rimasto dell'altro, ancorché sopportabile - per mescolare atti di cura con momenti mini-conviviali più rilassanti alla ricerca di ricordi che davano scacco al dolore e al danno invadente della malattia. E il discorso fluiva, via via, dalle prime storie nate oltre trent'anni fa a Villa degli Ulivi, alle peregrinazioni ospedaliere nell’immediato post-terremoto, agli epici incontri con il prof. Hudolin che doveva aprire quella splendida stagione “alcologica” di Castellerio di cui sei stato impareggiabile protagonista.
      Agli inizi si è lavorato sodo, protetti siappure dalla grintosa ma bonaria sapienza del nostro Maestro, all'ombra del quale hai potuto e saputo dar corpo alla tua originalità. Di questa, poi, nel corso degli anni, ne avrebbero beneficiato in molti. Gli astanti, ma anche i molti che non sono potuti arrivare oggi fin qui, ne sono fedele prova.
      Ora, per coloro che stanno portando la fiaccola della successione resta il compito impegnativo di perpetuare il tuo ricordo e i tratti penetranti dell'umana e pedagogica cultura che hai saputo trasmettere: si tratta - come suggerisce il filosofo - di "stare costantemente tesi in supplemento d'anima"!
      Ti siamo grati della tua fraterna amicizia; possa il nostro commosso saluto accompagnarti anche al di la della Grande Soglia.




Diego Cinello e "quelli di Castellerio"

È triste
eppur consola il salutarti
ché tanto ci opprimevan le tue pene
ma non di questo serberem ricordo
bensì del tuo operar deciso e buono
che a sofferenza altrui portava luce
discernimento poi e alfin la pace.

Vai Giancarlo nella luce
ché ben hai speso qui il tempo tuo
a noi resta il ricordo
densi momenti
e i cento e cento
che si sono liberati
e che in fondo al cuor
ti sono grati.




Mario Sartor (ARCAT Friuli Venezia Giulia)

Caro Giancarlo,
      tocca a me il compito di porgerti l'ultimo, riconoscente, saluto e l'abbraccio di tutte le famiglie dei Club degli alcolisti in trattamento della nostra regione.
      Questo mi onora e nello stesso tempo mi impone la responsabilità di interpretare i sentimenti di tantissime persone che ti hanno conosciuto, hanno lavorato, hanno condiviso con te un importante pezzo di strada della tua e della loro vita.
      Un grandissimo numero di famiglie, grazie al tuo impegno appassionato, hanno potuto iniziare un percorso di cambiamento verso una vita più serena, produttiva e autentica, oltre le sofferenze causate dall'alcol.
      Chi ti ha conosciuto non può dimenticare il tuo stile energico, diretto, sempre e comunque segnato da quell'umanità complessa, dove in ognuno di noi c'è un po' di tutti noi: l'essenza di un'umanità che solo poche anime generose sono in grado di mostrare con coraggio e senza pudore.
      Sei stato per noi un formatore, un uomo che aveva voglia di misurarsi, di ricercare, di proporre. Sei stato un amico che ha dato il suo prezioso contributo alla vita fino a quando quella stessa vita, forse esausta per l'intensità con la quale è stata vissuta, è sfuggita dal tuo corpo terreno.
      Ma il tuo ricordo, affettuoso e commosso, caro Giancarlo, non fuggirà dai nostri pensieri e soprattutto dal nostro cuore, perché il tuo segno è dentro di noi.




Marzio Rabitti con le famiglie dell'ACAT di Guastalla e dell'ARCAT Emilia Romagna

Giancarlo,
      ti sarò sempre grato perché mi hai aiutato a ritornare alla vita con la tua professionalità, la tua comprensione, la tua complicità, la tua serietà e la tua onestà.
      Per me e la mia famiglia sei stato un punto di riferimento come professionista e come amico, perché mi hai accolto a Castellerio come un fratello, ma hai anche partecipato col sorriso alle iniziative della nostra ACAT di Guastalla.
      Io, i miei figli, mia moglie, mia sorella ti ricorderemo sempre con la stessa intensità e lo stesso affetto con cui ti abbiano pensato in questi diciott'anni di astinenza.




Pier Paolo Vescovi

Carissimo Giancarlo,
      voglio subito dirti che in questo periodo tanto tormentato della vita e tanto tormentoso per chi vive questa vita con profondi ideali. non potevi permetterti di ritirarti e di lasciarci soli. C'è bisogno ancora dì un fiero Nocchiero come te.
      So che non ti piacerà sentirti dire queste cose che possono sembrare retoriche, ma fin dall'inizio ho apprezzato le tue doti organizzative, il tuo incessante impegno, la tua lucidità, le tue splendide intuizioni, la tua autorevolezza, la tua operosità, la tua intelligenza, la tua lealtà.
      La nostra amicizia, anche con la mia famiglia, con i miei figli, è diventata davvero forte, molto forte più che fraterna.
      Ci manchi, Giancarlo. Non ho cancellato, sai, il numero sul mio telefonino che per anni, ogni sera, ci ha permesso di rimanere in continua relazione. Una relazione che continua... per sempre.

     Mandi, Giancarlo, ti vogliamo bene.




Indira

     18 maggio 2004: sono in chiesa alla cerimonia funebre di Giancarlo Lezzi. E’ arrivato il momento che, per quanto preannunciato da tempo, sembra ancora inaccettabile a tutte le persone che gli vogliono bene. La chiesa gremita, parole commosse, ma io sono persa nei miei pensieri, trattenuta nel passato dal legame dei ricordi...
      Avrei voglia di alzarmi e di andare sul pulpito a parlare a mia volta, per esprimere i miei sentimenti e dare sfogo a lacrime trattenute da troppo tempo...
      C'è un momento per ogni cosa, infatti: al momento della conoscenza della diagnosi c'è il dolore dell'impatto della consapevolezza, dolore che deve essere represso, mascherato, nascosto, ma il momento della morte di una persona cara è il momento in cui c'è la rivendicazione della liberazione del dolore, come un fiume in piena che può finalmente rompere gli argini e dilagare...
      Avrei voluto dire queste cose a voce alta, Giancarlo, ma poi mi sembrava di sentire la tua voce mentre mi dicevi "Sei una narcisista, vuoi essere sempre al centro dell'attenzione...". Ed allora non mi ero sentita di prendere la parola... ma adesso non posso fare a meno di scrivere, più per me stessa che per gli altri, queste righe di ricordi, questo tuo ritratto forse inedito...
      Mi ricordo il Corso di sensibilizzazione del 1994 a Monfalcone, di cui tu eri direttore. Tre momenti vorrei ricordare qui, fra tutti quelli che mi sono rimasti impressi di quel corso.
      Il primo è che non arrivavo mai puntuale, per quanto mi sforzassi, e ricordo ancora il tuo sguardo di disapprovazione quando mi incontravi sulle scale, trafelata e paonazza.
      Neppure ora mi sono smentita: mentre tutti sono accorsi al tuo capezzale, infatti, io ero al Congresso di Assisi e sono arrivata troppo tardi per porgerti un ultimo saluto.
      Mi par di udire la tua voce: in ritardo, come sempre". Per te arrivare in ritardo era una mancanza inaccettabile nei confronti delle persone. Ma che ironia che tu spirassi proprio durante il Congresso d'Assisi, appuntamento al quale non saresti mancato per nulla al mondo!
      II secondo è successo a fine corso, al momento del commento sulle tesine finali.
      Ricordo la sala ovale, noi corsisti seduti in circolo e tu, Giancarlo, che dicevi: "Secondo voi, chi può essere stato a consegnare una tesina senza firmarla? Chi se non una persona così presuntuosa da pensare che il suo stile, come quello di Alessandro Manzoni, potesse essere subito riconosciuto?". Guardasti dalla mia parte e tutti allora in coro a scandire il mio nome! Credevo di sprofondare! E poi tu proseguisti - e allora, a dispetto del tono burbero, capii che ti stavi divertendo - "E purtroppo devo ammettere che scrive bene!". In quel momento mi sembrò di librarmi nell'aria!
      L'ultima cosa che non dimenticherò mai di quel corso è stata la tua risposta a una mia domanda, risposta che mi ha aiutato a superare tanti momenti di crisi. A1 momento dei saluti, mi avvicinai e ti espressi la mia sensazione di inadeguatezza: "Come faccio a sapere se sarò un buon servitore-insegnante? Come faccio a sapere se sono adatta a questo ruolo?". "La vera risposta te la darà il Club, - mi dicesti - se il Club sarà contento di te, se le famiglie verranno volentieri alla riunione settimanale e se tu sarai contenta di andarci, questa sarà la risposta".
     Quanta verità in quelle parole! E dopo tanti anni mi accorgo ancora che nel momento in cui varco la porta del Club tutti i miei problemi personali spariscono esistono solo le famiglie del Club e la metodologia da applicare ed i valori di amore, amicizia e solidarietà da riscoprire insieme...
      Ecco, avevi quella incredibile capacità di saper dosare perfettamente lodi e rimproveri e di riuscire a scandagliare profondamente l'animo delle persone per far emergere le cose di cui non erano consapevoli, e le obbligavi a guardarsi allo specchio e ad affrontare la propria coscienza e le proprie responsabilità. Avevi il dono innato, reso più prezioso dalla professionalità acquisita, di saper alternare, nei momenti appropriati, l'essere intransigente e rigoroso all'essere umano e straordinariamente percettivo e sensibile.
      Ti voglio dire ora quello che noti ti fio mai detto prima: per me sei stato un maestro, un amico, un padre. Eppure ricordo i nostri battibecchi quando mi dicevi “Non ascolti mai i consigli, sei testarda, vuoi fare sempre di testa tua...", dopo che io avevo cercato di convincerti della validità di qualche mia idea! Quanto mi mancheranno le nostre discussioni!
      Poi vengono i ricordi degli ultimi tempi della malattia. Ricordo in particolare un momento. Soffrivi già tanto, ma non ti lamentavi. La tua preoccupazione era per tua moglie. "Come farà a reggere tutta questa sofferenza? - ti chiedevi. Come farà a superare il momento del funerale?".
      Anche nel momento più difficile della tua vita non ti smentivi, continuavi a preoccuparti delle persone care. Ed io, quando venivo a trovarti, mi rendevo conto di non avere il coraggio di chiederti come stavi, per paura della possibile risposta... ma nello stesso momento avevo anche paura del silenzio, così pieno di pensieri tristi... ed allora mi sforzavo, pur sentendo un dolore sordo dentro, di raccontare cose buffe della mia vita d'ogni giorno; mi sforzavo di essere spiritosa e allegra... Altre volte ti raccontavo cose vere coli l'aria che fossero inverosimili, o cose tristi con accenti di tragicità esagerati, nel disperato tentativo di allontanare da te e da tua moglie, e anche da me, per un momento la dolorosa consapevolezza della recrudescenza della tua malattia
      Allora sbuffavi: "Ma perché devi combinare questo?” oppure "Speri che creda a queste cose assurde? Non puoi dire la verità per una volta? Pero sono sicura che dentro di te sorridevi. E ti tornava un filo esile di voce ed a me sembrava di tornare ai vecchi tempi, quando mettevi tanta energia e passione nei discorsi.
"Buon segno, se si è arrabbiato con te, vuol dire che oggi sta meglio” mi dicevano i colleghi-amici, usuali testimoni delle nostre discussioni. L'ultima volta che ti ho visto, però, così pieno di sofferenza, non sono riuscita nemmeno io a spiccicare parola, e quel silenzio mi è rimasto dentro pieno di parole senza voce... “Che silenzio!" disse tua moglie tornando con le tazzine di caffè fumante.
      Ricordi, parole, voci, sensazioni, atmosfere, insegnamenti, significati. Come si fa a ricordare tutto? Come si fa a condividere? A ripetere? Ma come si può tenere tutto dentro?

      Non ho voluto avvicinarmi troppo alla bara, per poter conservare nella memoria come ultima immagine di lui, il suo volto ancora animato, sebbene sofferente. di pochi giorni prima. Mi è parso di vedere, mentre richiudevano la bara ancora appoggiato al suo cuore il piccolo bouquet di rose bianche - cinque rose, una per ogni socio-lavoratore della Cooperativa da lui fondata - con il biglietto col nome di ognuno: Doriana, Ettore, Fabiola, Indira, Paola. In chiesa seduti uno accanto all'altro nel banco dell' ultima fila, con un espressione smarrita di orfani più che di collaboratori... Mi piace pensare che i petali di quei fiori lo accompagnino, teneri e delicati come i nostri pensieri, nel suo ultimo viaggio...